Lo studio infinito del Libro

Altre nazioni hanno prosperato o sono scomparse all'interno di frontiere geografiche o linguistiche. Hanno definito la propria identità rispetto a un angolo di terra, al Blut und Boden, "alla terra e al sangue", all'ager sacer o alla "pietra preziosa incastonata nell'argenteo mare". Il popolo di Abramo è stato un popolo nomade, per la maggior parte della propria storia ha errato a partire da Ur.

Afflitto da interminabili persecuzioni, costretto all'esilio e datosi alla fuga, l'ebreo è stato cacciato da una terra all'altra, al di là degli oceani, obbligato a stabilirsi in luoghi sovente assai stimolanti per la creatività ma che, in fondo in fondo, lo facevano sentire estraneo e precario. Ha finito per trovarsi in mezzo agli uomini privo di difese, senza riparo.

Com'è riuscito a resistere e a sopravvivere, se pensiamo che sono scomparsi popoli quali gli egizi, i greci e i romani, o ancora i principati dell'America centrale?

Il ruolo del Libro e della Torà e degli innumerevoli commenti che il Libro ha richiesto e ispirato, è stato fondamentale.

Finché poteva portare con sé le Scritture, studiarle instancabilmente, annotarle, interpretarle, commentarle, l'ebreo riusciva a preservare la propria identità, rendendola produttiva.

Da qui un vero e proprio scandalo: il primo e inviolabile comandamento halakhico non è "Onorerai il Signore Dio tuo" né "Ama il tuo prossimo", ma "Ogni giorno studierai la Torà".

Finché un ebreo lo farà, né lui né la sua comunità scompariranno dalla faccia della terra.
— George Steiner (Les Logocrates)


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