Anche i romanzi seguono le regole del destino
Ciò che amo, nei romanzi è il senso di fatalità. Prendete Lo straniero di Camus: sarebbe bastato a Meursault non sparare all'Arabo affinché la sua vita prendesse tutt'altra piega? Chi lo sa!
Forse la ragione per cui non smetto di leggere romanzi è che ogni volta mi auguro di trovare —se possibile in una forma sorprendente— la grandiosa messa in scena del duello all'ultimo sangue tra arbitrio umano e destino.
Forse quando quell'ebete di Charles Bovary rivolge a uno degli amanti della moglie la famosa frase che ha fatto sogghignare centinaia di migliaia di lettori: "È stata colpa della fatalità...". Be' non è escluso che in quel momento il bovino Charles pronunci la frase più sensata del libro.
D'altronde chi più di un personaggio romanzesco è vittima della fatalità? Malgrado un mio compagno delle medie fosse disposto a giurare che nei "suoi" Promessi Sposi alla fine Renzo e Lucia non convolano, la verità è che i personaggi romanzeschi non possono che ripercorrere le proprie orme all'infinito. [...]
Si potrebbe pensare che la differenza tra homo fictus e homo sapiens (per dirla con Forster), ovvero tra un personaggio letterario e un uomo reale, sia che il primo è soggetto alle leggi implacabili del destino, mentre il secondo può disporre di una dose ragionevole di libertà.
Vorrei che fosse così. Ma quando mi guardo allo specchio e vedo l'immagine sintetica di mio padre e di mia madre, capisco che ai cromosomi non ci si può ribellare.
— Alessandro Piperno (Pubblici infortuni)
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