Per essere scrittore è necessario che tu pubblichi (ma non che tu scriva).
Eccomi dunque, davanti alla macchina da scrivere, come Segal, come Snoopy, come Omero; mi è stato affidato il compito di scrivere ininterrottamente per un certo numero di pagine; mi hanno detto quanto lunga deve essere una riga— non ricordo il numero di battute ma suppongo che andrà bene comunque; sono stato informato di quante righe si presuppone che sia una pagina, altro numero che ho totalmente dimenticato, e pertanto agirò in base al presupposto che la pagina dura esattamente fino al punto in cui finisce, dopo di che comincia quella condizione di non-pagina su cui nessuno mi ha dato disposizioni; dunque, entrando nella non-pagina, io diventerò un uomo diverso, mi librerò in una condizione temporale e spaziale abnorme ed esaltante.
Per il momento, tuttavia, io mi trovo dentro la pagina e pertanto sono sottoposto a tutte le regole sopraddette: pagine, righe, battute, non meno vincolanti per essere state dimenticate.
Dunque io sono stato catturato; ho, come nei giorni avari ed eterodiretti della infanzia, un compito da fare. Tuttavia, le regole apparentemente ferree, e certamente minute, sono intrinsecamente più ingenue di quanto non appare. Esse mi dicono quante righe io debba scrivere, e di quante battute; ma in realtà quelle regole non sono intese a che io "scriva" ma a che io pubblichi.
La differenza è abissale.
In realtà, non ci sono regole che mi possano ordinare di scrivere, ma solo di pubblicare; nessuna legge mi costringe ad amare, ma i carabinieri possono fare di me un essere tollerabilmente fedele e moralmente costante. Sono libero di credere o non credere in Dio, ma devo salire sul tram dalla parte destra, portiera di fondo. Posso pianificare la mia dannazione, ma per chiedere la mano della donna che amo alla follìa, debbo affrancare la lettera con cinquanta lire. Anche per chiedere un riscatto debbo spendere cinquanta lire, più centocinquanta di espresso, se i soldi li voglio subito.
Ogni verità è perfettamente rovesciabile: se dico "homo homini lupus" dico verità banale; rovesciata, ci offre un'altra verità banale. Se dico "tutti gli uomini sono fratelli" dico una sciocchezza innocua e incoraggiante; se, rovesciando, dico "homo homini lapsus" dico una sciocchezza colta e fintamente cinica.
Un mio amico diceva: "è necessario scrivere, non è necessario pubblicare"; verità di un certo livello di profondità, che ritroviamo nel suo contrario, quello che sto vivendo: "è necessario pubblicare, non è necessario scrivere".
A dimostrazione della fondatezza del mio assunto, mi permetterò di offrire al tipografo una pagina inesistente:
Giorgio Manganelli, Il rumore sottile della prosa, 1994
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