Joyce racconta Čechov
Lo scrittore di quel periodo che ammiro di più è Čechov. Perché ha portato qualcosa di nuovo nella letteratura, un senso del dramma che si oppone all'idea classica secondo la quale un'opera teatrale dovrebbe avere un inizio, una parte centrale e una parte finale ben definiti, mentre l'autore doveva caricare l'azione fino al climax del secondo atto, per scioglierla poi nell'ultimo. In un'opera teatrale di Čechov, invece, non c'è inizio, né fine, né l'autore accentua l'azione per raggiungere un climax; il suo teatro è azione continua, e la vita trascorre sulla scena e ne viene via di nuovo, e niente si risolve.
Di tutti i suoi personaggi, infatti, sentiamo che hanno vissuto intensamente prima di entrare in scena e che continueranno a vivere altrettanto intensamente quando ne usciranno. Il suo non è tanto un dramma di individui, quanto il dramma della vita, e questa è la sua essenza, in antitesi, per dire, a Shakespeare, il cui dramma è il conflitto delle passioni e delle ambizioni.
E mentre nelle altre opere teatrali il contatto tra le personalità arriva quasi allo scontro violento, i personaggi di Čechov non riescono mai a stabilire un contatto. Ognuno vive all'interno del proprio mondo e, perfino in amore, sono incapaci di diventare l'uno parte della vita dell'altro, e la loro solitudine li spaventa.
Per quanto riguarda altre opere, invece, si sente che sono una costruzione forzata, fatta apposta per essere messa in scena; persone anormali che fanno cose anormali. Ma con Čechov invece, tutto è attutito e sommesso, come nella vita, con le innumerevoli correnti e controcorrenti che scorrono in un senso o nell'altro confondendo i profili netti, quei profili netti tanto amati dagli altri drammaturghi.[...]
Quando il dramma finisce, per un momento si pensa che i suoi personaggi si siano svegliati dalle illusioni, ma mentre cala il sipario, ci si rende conto che ben presto ne costruiranno di nuove per dimenticare le vecchie.— James Joyce
Hammerbrook - City can this really be true?
Commenti