Kureishi, padre e figlio

Hanif Kureishi racconta l'ossessione del padre per la scrittura. Una dedizione patologica mai ripagata dal successo.
C'erano poche mattine in cui non si mettesse seduto alla sua scrivania —presto, circa alle sei— prima di andare al lavoro con la sua valigetta assieme agli altri pendolari. Credo che per lui scrivere fosse un'ossessione, e come per la maggior parte delle ossessioni, un qualsiasi appagamento rimaneva fuori discussione. L'ossessione lo rendeva incompleto, ma lo spingeva ad andare avanti. Svolgeva un lavoro stupido e snervante e scrivere gli forniva un traguardo a cui puntare. Gli dava un senso o, come gli piaceva dire, "una direzione."

A differenza del padre, Hanif ottiene il successo. Ma l'eredità paterna, per quanto fallimentare, gli è stata comunque trasmessa. (Splendido spunto per un racconto, vero?)
Probabilmente ho ereditato la disperazione di mio padre come forma di impazienza. Sono ancora impaziente; non è molto divertente starsene seduto davanti a una scrivania senza che accada nulla. Ma almeno riesco a capire la necessità dell'impazienza nella scrittura: è il desiderio di avere qualcosa di finito, e si scontra con la necessità di aspettare la riflessione, quella riflessione che mostra come qualcosa di scritto possa svilupparsi o trovare la sua strada nel tempo, senza correre in fretta verso una conclusione.

— Hanif Kureishi, Da dove vengono le storie.
Riflessioni sulla scrittura, 1997.

Hammerbrook - City can this really be true?

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