Che io sia Re, mi pare sia cosa da non dubitare. V'è in me un modo regale di pensare, di opinare, di fantasticare, che non finisce di stupirmi e di allietarmi. Non riesco a pensare a cose umili e povere; ogni cosa deve avere un nome, collocarsi in una gerarchia, incedere o strisciare, ma in modo emblematico.
Penso alle aquile; specie al primo dilùculo, nel silenzio tra notte e giorno, nel freddo che anneghittisce, in mezzo al distratto sgomento dei fiori, penso ad enormi aquile, ali metalliche e sapiente malvagità di occhi. Un becco omicida, tirannico, ma non passionale. Intorno alla mia sorella aquila lo spazio è enorme, anch'esso feroce, ma se esso presume di essere geometria e null'altro, allora io sono la sua volatile ferita, la piaga a forma di becco, la firma di un becco sulla volta del cielo.
Forse taluno considererà questa una immagine faticosamente barocca; ebbene egli non è re; e pertanto di ciò non darò altra spiegazione.
— Giorgio Manganelli, Agli dèi ulteriori, 1989 (incipit).
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