Romanzi che pensano

L'imperativo che esorta il romanziere a "concentrarsi sull'essenziale" (su "ciò che solo il romanzo può dire") non dà forse ragione a coloro che rifiutano la riflessione d'autore come elemento estraneo alla forma del romanzo? [...]. Inoltre: gli interventi meditativi non rischiano forse di trasformare le azioni dei personaggi in una semplice illustrazione delle tesi dell'autore? E ancora: l'arte del romanzo, con il suo senso della relatività delle verità umane, non esige forse che il parere dell'autore resti nascosto e che la riflessione sia riservata solo al lettore? La risposta di Broch e Musil fu estremamente chiara: essi hanno spalancato una porta, facendo entrare il pensiero nel romanzo come nessuno aveva fatto prima di loro.

Il saggio incluso nei "Sonnambuli", intitolato "La disgregazione dei valori" è una sequenza di analisi, meditazioni e aforismi sulla situazione spirituale dell'Europa nel corso di tre decenni; impossibile affermare che questo saggio sia inadeguato alla forma romanzesca, perché è proprio questo saggio a illuminare il muro contro il quale si infrangono i destini dei tre protagonisti, ed è questo saggio che fa dei tre romanzi un'unica opera. Non lo sottolineerò mai abbastanza: inserire in un romanzo una riflessione intellettualmente tanto ambiziosa e renderla, in maniera tanto bella e musicale, parte integrante della composizione è una delle innovazioni più audaci che un romanziere abbia osato nell'epoca dell'arte moderna.

Ma c'è qualcosa ai miei occhi ancora più importante: nei due autori viennesi la riflessione non è più percepita come un elemento eccezionale, un'interruzione; difficile chiamarla "digressione", poiché in questi "romanzi che pensano" essa è continuamente presente, anche quando il romanziere racconta un'azione o descrive un volto.

— Milan Kundera

Hammerbrook - City can this really be true?

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