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Scrivi di un albero e sei a metà di una storia.
Come si fa a scrivere? La mia risposta è che comincio con gli alberi e tiro avanti dritto. Comincio con i compagni di questo luogo, fissati ognuno nel terreno in cui si trova, a volte nella roccia o nelle pietre e poco più, e dopo la strada non solo è facile, è quasi esilarante perché l’albero è cosa di grandi attaccamenti, e produce ogni genere di foglie, e in abbondanza, e ogni foglia è la stessa, ma non esattamente, sicché notare questa imprecisione ripetitiva ti porta a tutto quanto il resto […].
Parti dal visibile ma realmente inafferrabile: quel dono che è reso rapidamente banale dalla familiarità, quella dimostrazione dell’illimitatezza del sempre uguale, di fiamma, colore, struttura, forma, massa, movimento […].
C’è un mio racconto breve intitolato “La ruota spezzata”, che risale ai primissimi tempi, e ricordo che quando avevo appena cominciato a scriverlo continuavo a chiedermi: “Che cosa succede? Perché scrivi del vecchio noce inglese che sta nel cortile dietro la casetta di legno traballante al 2226 di San Benito Avenue e delle due rimesse affiancate e della pianta di cactus e dell’erba e dei cespugli di creosoto nel terreno abbandonato accanto alla casa?” […].
Uno scrittore scrive, e se comincia rievocando un albero nel cortile di casa, è solo per poter arrivare per gradi al pianoforte in salotto, su cui è posata la foto del fratellino, che a dire il vero non era nulla più di qualunque fratello minore, un moccioso, un supplizio continuo, e tuttavia la morte ha fatto di lui il beniamino nel cuore di tutta la famiglia.
— William Saroyan
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