Alle Assicurazioni Generali era disperato per i suoi turni di dodici ore che non gli lasciavano tempo per scrivere; due anni più tardi, promosso alla posizione di capufficio al reparto Assicurazioni Incidenti sul Lavoro, poteva finalmente approfittare del turno unico, dalle 8:30 alle 14:30.
Quindi che faceva? Pranzava fino alle 15.30, dormiva fino alle 19:30, poi venivano gli esercizi, quindi una cena in famiglia. Dopo di che, verso le 23:00 si metteva a lavorare (come fa notare Begley, sbrigare la corrispondenza e aggiornare il diario lo occupavano per almeno un'ora al giorno e spesso due) e infine, "compatibilmente con la mia forza, disposizione e fortuna, fino all'una, alle due, alle tre, una volta addirittura fino alle sei del mattino."
Dopo di che: "ogni sforzo immaginabile per andare a letto", e dormiva a strappi prima di alzarsi nuovamente per andare al lavoro. Questa routine giornaliera lo lasciò permanentemente sul bordo del collasso. Tuttavia,
"quando Felice gli scriveva... per convincerlo che un'organizzazione più razionale della sua giornata sarebbe stata possibile, si irritava... "L'attuale sistema è l'unico possibile. Se non non lo reggo tanto peggio per me; ma riuscirò a reggerlo in qualche modo."
Secondo [Max] Brod, i genitori di Kafka avrebbero dovuto dargli una piccola somma "in modo che lui potesse lasciare l'ufficio, trasferirsi in un paesetto senza pretese sulla Riviera per creare quei lavori che Dio, usando il cervello di Franz, vorrebbe donare al mondo." Begley, lasciando in pace Dio, esprime un cortese dissenso, ritenendo che
l'augurio di Brod è malposto. L'incapacità di Kafka nel fare appena un tentativo per evadere dalla duplice prigione dell'Istituto e della sua stanza nell'appartamento dei genitori erano solo la scelta dello stile di vita che paradossalmente gli si confaceva di più.
È raro che gli scrittori di narrativa siedano alle loro scrivanie, e lavorino davvero, per più di qualche ora al giorno. Se Kafka fosse riuscito a utilizzare questo tempo in modo proficuo, gli impegni di lavoro all'Istituto gli avrebbero lasciato tutto il tempo per scrivere. Come lui stesso riconosceva, la verità è che perdeva tempo.
La verità è che perdeva tempo! L'equivalente per uno scrittore della rivelazione di una fidanzata: Non gli piaci poi tanto. "Attribuire all'Istituto e alle difficoltà di vivere con i genitori la colpa per i lunghi periodi in cui non poteva scrivere era una scusa: gli consentiva di mantenere un briciolo di autostima."
— Zadie Smith, The New York Review of Books, 17 luglio 2008
(recensione di "The Tremendous World I Have Inside My Head:
Franz Kafka, A Biographical Essay" di Louis Begley)
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