Nell'individuo egli non trova un modello funzionante da prendere e applicare a un libro, bensì una serie di indizi che non si riflettono nel normale specchio del mondo.
Di queste brevi apparizioni — un insieme sempre incompleto di ciò che l'individuo è (il riflesso dello Spemet, infatti, coglie quello che la donna non dice quando parla, la rabbia negli occhi dell'uomo in contrasto con il suo sorriso, l'eco nei silenzi di lei, i messaggi soffocati espressi a gesti; coglie quello che lo scrittore ricorda di lui da un incontro precedente, quello che ha sentito raccontare di lei da altri, eccetera) — lo scrittore conserva magari un paio di immagini da usare in futuro nella figura di un personaggio assai diverso. Giacché una delle poche cose di cui lo scrittore non dubita è il fatto che l'incoerenza è la coerenza della natura umana.
La verità è che in un singolo individuo non si possono cogliere elementi sufficienti a creare un personaggio di romanzo.
Per risultare "realistico", un personaggio deve sempre essere più grande della realtà, più intenso, composito e concentrato nell'essenza della personalità di quanto sia materialmente possibile. Il mezzo astratto della pagina va superato.
I frammenti della conoscenza ultrapercettiva vengono riposti in una struttura cui non si addice la definizione di "archivio", perché ciò che lo scrittore ha dentro di sé è un sistema capace di immagazzinare e nello stesso tempo elaborare il materiale che vi si accumula, spesso nel corso di anni. È qualcosa più della memoria; la memoria è casuale, non ordina in categorie.
Grazie a questa struttura, o facoltà, le immagini dello Spemet vengono raccolte, un po' qua e un po' là, a invervalli o in un impeto improvviso, e un bel giorno trasformate in un personaggio che viene evocato dall'immaginazione per adattarsi a un soggetto o farne nascere uno.
— Nadine Gordimer, Writing and Being, Norton Lectures, 1994 (Scrivere ed essere: Lezioni di poetica, Feltrinelli, 1996)
Commenti