Scrittura, alcool e stupefacenti

Forse il più grande scrittore a fare un uso sistematico di speed è stato W. H. Auden. Mandò giù Benzedrina ogni mattina per venticinque anni, dal 1938 in poi, neutralizzandone gli effetti con il barbiturico Seconal quando voleva dormire. (Teneva anche un bicchiere di vodka accanto al letto, da buttar giù quando si svegliava durante la notte.) Conservò un atteggiamento pragmatico riguardo alle anfetamine, che considerava un "dispositivo anti-fatica" nella "cucina mentale", con la clausola importante che "questi meccanismi sono molto approssimativi, suscettibili di recar danno al cuoco, e costantemente guasti."

Auden sembra esser stato il solo grande scrittore a fare un simile uso di stupefacenti, come fonte diretta di energia per il proprio lavoro. Rappresenta l'apoteosi dell'approccio strumentale; ed è quindi logico che abbia scelto le anfetamine, che sono la droga utilitaristica per eccellenza. Al contrario, l'alcool è una droga molto poco efficace per gli scrittori. È praticamente impossibile scrivere da ubriachi, ed è una fortuna, se si considera quanto già bevono gli scrittori (e quanti bevono).

Il caso delle anfetamine è tuttavia atipico, perché di solito gli scrittori fanno uso di stupefacenti non tanto perché vogliono lavorare ma perché vogliono "sballare", o rilassarsi oppure, per usare un'espressione di Rimbaud "far deragliare" i propri sensi. Se danno l'impressione di farne più uso di altre persone è perché gli scrittori — poiché in genere non scrivono più di un certo numero di ore al giorno — hanno di solito molto tempo libero per sballarsi e, cosa ancora più importante, per gestire i postumi.

— John Lanchester, High Style, The New Yorker, 6/1/2003.

Hammerbrook - City can this really be true?

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