In un romanzo devi entrare senza fatica e starci dentro con leggerezza
Qualsiasi fatica si faccia per un progetto letterario, poi non si deve vedere. Anzi, di fronte alla pagina scritta bisogna sempre avere una sensazione di immediatezza e di semplicità. Io scrivo e riscrivo tante volte, tutto da capo. Per questo non uso il computer, perché il computer ti spinge a economizzare il tempo di ricopiatura suggerendoti intarsi e spostamenti interni al testo, mentre io ho bisogno di riscrivere da capo, per essere libera di cambiare le parole, una per una.
In generale direi che la spontaneità, l'improvvisazione in letteratura sono deleterie. Ci può essere verità, sincerità nello scrivere, ma non improvvisazione. I grandi scrittori hanno sempre lavorato molto sui loro testi. Non parliamo dei poeti per cui la sostituzione di una sola parola può costituire una questione di vita o di morte per il testo. L'effetto finale però dev'essere di trasparenza, quasi di "facilità" di lettura.
Si deve poter entrare in un libro senza fatica, con gioia e starci dentro senza appesantimenti. Se questo ingresso è infelice e il lettore si sente a disagio dentro il libro, vuol dire che l'incontro non c'è stato.
Il romanzo per me è un luogo d'incontro misterioso e fortunato in cui si trovano insieme il lettore e l'autore. Uno strano incontro che avviene in tempi diversi; non sono mai fisicamente presenti insieme, eppure hanno modo di conoscersi e amarsi. L'incontro può essere felice o infelice, ma se i due non vanno d'accordo non vuol dire automaticamente che il libro sia da buttare. Semplicemente significa che non era il momento giusto per l'incontro.
Credo che abbia ragione Pennac quando dice che bisogna lasciare un libro a metà se non piace. Mai leggere "per dovere", come si fa a scuola.
— Dacia Maraini, I materiali e i tempi narrativi
in I quaderni di Panta: Scrittura Creativa, 2008
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