Le risposte provvisorie della poesia

Apprezzo tanto due piccole paroline: "non so". Piccole, ma alate. Parole che estendono la nostra vita in territori situati dentro noi stessi e in territori in cui è sospesa la nostra minuscola Terra.

Se Isaak Newton non si fosse detto "non so", le mele nel giardino sarebbero potute cadere davanti ai suoi occhi come grandine e lui, nel migliore dei casi, si sarebbe chinato a raccoglierle, mangiandole con gusto. Se la mia connazionale Maria Sklodowska Curie non si fosse detta "non so", sarebbe sicuramente diventata insegnante di chimica in un convitto per signorine di buona famiglia, e avrebbe trascorso la vita svolgendo questa attività, peraltro onesta. Ma si ripeteva "non so" e proprio queste parole la condussero, e per due volte, a Stoccolma, dove vengono insignite del Premio Nobel persone dall'animo inquieto perennemente alla ricerca di qualcosa.

Anche il poeta, se è un vero poeta, deve ripetere di continuo a se stesso "non so". Con ogni sua opera cerca di dare una risposta, ma non appena ha finito di scrivere già lo assale il dubbio e comincia a rendersi conto che si tratta d'una risposta provvisoria e del tutto insufficiente. Perciò prova ancora una volta e un'altra ancora, finché gli storici della letteratura non legheranno insieme con un grande fermaglio queste successive prove della sua insoddisfazione, chiamandole "patrimonio artistico"...

Wislawa Szymborska, Il poeta e il mondo.
In "Vista con granello di sabbia (Poesie 1957-1993)"

Hammerbrook - City can this really be true?

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