Quando il fantastico non era fantastico

Uno dei miei momenti più tristi da bambino fu quando lessi un romanzo di Jules Verne (uno dei miei maestri), che stranamente non era un romanzo di anticipazione scientifica, bensì un romanzo fantastico, in cui, per la prima volta, si trattava il problema dell'uomo invisibile, che più avanti Wells rese celebre. Quel romanzo, non molto conosciuto, s'intitolava "Il segreto di Wilhelm Storitz" e mi aveva affascinato moltissimo; in quel momento, la presenza di un uomo invisibile mi sembrava assolutamente possibile nelle circostanze del libro, così decisi di passare il romanzo a un mio compagno di scuola. (Avrò avuto dodici anni, ero un bambino che leggeva molto). Gli diedi il libro sperando che anche lui si meravigliasse così come mi ero meravigliato io, però me lo restituì dopo due giorni con disdegno, dicendomi che era tutto troppo fantastico.

Fu in quel momento che apparve per la prima volta quella parolina. Allora, senza essere in grado di razionalizzarlo, nella mia ignoranza di bambino, mi resi conto in modo oscuro del fatto che la mia concezione del fantastico non aveva nulla a che vedere con quella che potevano avere mia madre, mia sorella, la mia famiglia e i miei compagni. In altre parole, scoprii (e fu un po' triste, a dire il vero) che mi muovevo con naturalezza nel territorio del fantastico, senza riuscire a distinguerlo troppo dal reale.

— Julio Cortázar, intervista di Joaquín Soler Serrano, 20 marzo 1977

Hammerbrook - City can this really be true?

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