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Inizia e sarai già a metà dell'opera (ma non sarà facile!).
Iniziare a raccontare una storia è come fare delle avances a un perfetto sconosciuto in un ristorante. Ricordate il Gurov di Čechov nella Signora col cagnolino? Gurov fa cenni a un cagnolino per richiamarlo, finché la padrona, arrossendo, gli dice: "Non morde." Al che Gurov le chiede il permesso di offrire un osso alla bestiola. Così, sia Gurov sia Čechov hanno un filo da seguire; il corteggiamento comincia e la storia prende il via. Si può dire che l'inizio di ogni storia sia un osso, qualcosa con cui attrarre il cagnolino che potrebbe avvicinarci alla signora.
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È difficile cominciare. Certo, esistono diverse strategie per affrontare questa sofferenza: alcuni scrittori non partono mai dall'inizio, ma preferiscono esordire con un paio di scene facili, collocate a metà della storia, giusto per riscaldarsi le dita. (Il problema è che anche una scena agevole presa dalla parte centrale necessita di una scena d'apertura.)
Alcuni, come il Grand di Camus nella Peste, scrivono la prima pagina di un libro cento volte, senza mai andare oltre. Altri, apparentemente si arrendono e forse decidono, per disperazione o per sfinimento, di cominciare come capita, con qualsiasi cosa, anche con un elemento piatto o vagamente stupido.
È il caso, per esempio, del grande Dostoevskij, con il mediocre incipit del romanzo Le notti bianche: "Era una notte splendida, una notte di quelle che forse si vedono soltanto quando si è giovani, egregio lettore. Il cielo era tempestato di stelle" eccetera.
Be', è piuttosto imbarazzante. Neppure il servile ammiccamento all'"egregio lettore" può affrancare questo esordio dal suo banale sentimentalismo. Eppure l'autore è Dostoevskij. Solo Dio sa quante volte l'avrà scritto, riscritto, distrutto, maledetto, scarabocchiato, accartocciato, gettato nel fuoco, affogato nel gabinetto, prima di cederà a questa sorta di "e sia".
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Dove inizia esattamente una storia? Ogni incipit è sempre una sorta di contratto fra lo scrittore e il lettore. Certo, esistono contratti di vari tipi, fra cui quelli mendaci. Talvolta il paragrafo di apertura o il primo capitolo costituiscono un patto segreto fra l'autore e il lettore, un accordo raggiunto alle spalle del protagonista. È il caso del Don Chisciotte e di Ieri e l'altro ieri di Agnon. Si tratta di contratti ingannevoli: lo scrittore sembra svelare segreti di ogni genere, conquistandosi la fiducia dell'ignaro lettore, che si sente invitato nella "camera oscura", senza rendersi conto che quel "retroscena" non è affatto un "dietro le quinte" ma una seconda scena. Il lettore si sente partecipe di un complotto, mentre in realtà non è altro che la vittima di un inganno più sottile: il contratto visibile è uno specchietto per le allodole, l'oggetto di un'intesa interna più inafferrabile e subdola. Ciò si verifica, per esempio, nell'inizio del Michele Kohlhaas di Kleist e nell'Eletto di Thomas Mann. (Il primo capitolo dell'Eletto si intitola "Chi suona le campane?", e il lettore viene scrupolosamente informato del fatto che non è il campanaro a suonare, ma "lo spirito della storia", per poi scoprire che questo "spirito della storia" non è affatto una manifestazione incorporea ma un irlandese di nome Clemence).
Esistono inizi diversi. Alcuni attraggono come il miele in una trappola per mosche: in principio il lettore viene sedotto da un pettegolezzo succulento o da una confessione estremamente rivelatrice oppure da un'avventura che fa gelare il sangue, ma alla fine scopre che l'esca era una sorta di matrioska. Moby Dick, per esempio, oltre alle innumerevoli avventure, offre prelibatezze che non compaiono sul menu e a cui non si accenna nemmeno nel contratto di apertura ("Chiamatemi Ismaele"): vengono elargite al lettore come premio speciale... alla stregua di quando si compra un gelato e si vince un biglietto per un giro del mondo.
Ci sono contratti filosofici, come la famosa frase di esordio di Anna Karenina di Tolstoj: "Tutte le famiglie felici si rassomigliano, mentre quelle infelici sono infelici ognuna a modo proprio". In realtà, in Anna Karenina – e anche in altre opere – Tolstoj contraddice questa dicotomia.
A volte ci troviamo di fronte a un contratto severo e rigoroso, quasi ostile, che mette subito in guardia i lettori: "Qui il biglietto d'ingresso è molto costoso. Se ritenete di non potervi permettere il pagamento anticipato, siete vivamente sconsigliati di entrare. Non si concedono né sconti né prestiti". È di questo tenore, per esempio, l'incipit dell'Urlo e la furia di Faulkner.
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