Ribellati contro l'ordine. E poi ribellati contro il disordine.

"Credere che i minimi particolari della propria vita valgano la pena di essere fissati su carta significa dar prova di una vanità davvero meschina. Cose del genere si scrivono per trasmettere agli altri la teoria dell'universo che ci si porta dentro". 
Le parole di Renan mi sono tornate in mente quando, accingendomi a scrivere queste pagine, ne ho valutato l'opportunità, e ho riflettuto sui gravi problemi che mi si presentavano, sull'obbligo in cui mi sarei trovato di dire la mia a proposito di argomenti più grandi di me. Noi scrittori, mi chiedevo, siamo davvero tenuti a trasmettere agli altri la teoria dell'universo che ci portiamo dentro? 
Ed ecco che, aprendo a caso e quasi soprappensiero i colloqui di Goethe con Eckermann, mi sono capitate sotto gli occhi queste righe: "L'uomo non è nato per risolvere i problemi dell'universo, ma per scoprire dove sta il problema e, muovendo da lì, rimanere nei limiti di ciò che può capire".

Non sono un grande erudito, non ho mai ricevuto un'educazione filosofica e la massima goethiana mi si addice; dopodiché, come fa lo stesso Renan, si è liberi di fissare su carta i minimi particolari della propria vita. Se poi rischiano di risultare anche istruttivi, non c'è niente di male nel farlo.

Del resto com'è possibile, lungo la strada, non voler costruire a modo proprio una teoria dell'universo? Ma io lo faccio qui solo come lo si fa durante una conversazione sincera, in confidenza, come si può dire a un amico: "Io credo in Dio" oppure "Non ci credo". Ne nasce una discussione cuore a cuore, mente a mente, in cui ci si racconta senza vanterie e senza per questo credersi grandi pensatori, poiché ognuno di noi, anche il più umile, ha una qualche opinione sulle cose eterne. La si può esprimere, raccontando la propria vita, senza essere tacciati di presunzione; la si può scrivere come si scriverebbe una lettera.

Nient'altro vuole essere questo libretto, il cui progetto e i cui propositi non appariranno né molto chiari né molto solidi, e che segue come può i difficili sentieri della mia esistenza, parallela a strade molto più grandi e più belle.

Non un messaggio, ma una lettera. Non le mie memorie, ma una breve memoria, un rendiconto, una memoria morale. O dovrei piuttosto dire immorale? Ma senza nessun turpe compiacimento. Scrivo queste pagine per cercare nel labirinto della mia coscienza il filo conduttore di una dignità che mi è diventata cara quanto la vita.

Le pubblico perché credo nell'assoluzione che la confessione pubblica comporta, e perché esse potranno forse servire ad altri, anche solo dimostrando che esistono luoghi oscuri da cui si può comunque fuggire.

E poi spero che questa lettura contribuisca, nel suo piccolo, ad acuire nei giovani che vi si accosteranno la voglia di due ribellioni: quella contro l'ordine e quella contro il disordine; perché bisogna passare prima per l'una e poi per l'altra, se si vuole diventare uomini.

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