Lo scrittore come un impiegato o un operaio

Trollope scrive nella sua “Autobiografia” che ogni giorno si alzava con il buio e scriveva dalle 5:30 alle 8:30 con l’orologio davanti agli occhi. Si era imposto una quota: 250 parole ogni quarto d’ora. E se finiva un romanzo prima delle 8:30, prendeva un foglio bianco e ne iniziava uno nuovo.

Dopo la sessione di scrittura cominciava una giornata di lavoro all’Ufficio Postale. Poi, diceva, andava a caccia almeno due volte alla settimana. Osservando questa dieta, riuscì a produrre 49 romanzi in 39 anni. L’efficacia di questo metodo lo persuase a raccomandarlo a tutti gli scrittori: “Che affrontino il loro lavoro come gli impiegati e gli operai affrontano il loro lavoro di impiegati e operai. Non avranno bisogno di sforzi sovrumani. Non dovranno legarsi stracci bagnati attorno alla fronte o rimanere seduti trenta ore al tavolo senza muoversi – come alcuni hanno fatto o dicono di aver fatto.”

Se questo consiglio fosse stato elargito nel 1850, sarebbe stato accettato con gratitudine. Ma l’autobiografia di Trollope fu pubblicata nel 1883, l’anno della sua morte. Ormai la concezione romantica della scrittura si era diffusa nel pubblico. Ora molti lettori credevano che la letteratura fosse prodotta da persone acute e infelici che non andavano a caccia, e a questo tipo di platea le raccomandazioni di Trollope suonavano vuote e sciocche.

— Joan Acocella, Why Do Writers Stop Writing
The New Yorker 14/6/2004

Hammerbrook - City can this really be true?

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