Ci rivolgiamo all'arte per il suo "senso di conclusione"
La nostra esperienza nel mondo è totalmente diversa rispetto alla nostra esperienza nell'arte. Non ricordiamo la nostra nascita, non prenderemo coscienza della nostra morte: tutto ciò che abbiamo sono il caos e la confusione tra l'una e l'altra.
Come ha sottolineato il critico Frank Kermode, una delle cose per cui ci rivolgiamo all'arte è il “senso di conclusione”. Nella vita niente viene mai completato, mai risolto; tutto si ramifica, all'infinito. Il romanzo, la poesia, il quadro, il quartetto d'archi hanno tutti – non importa quanto siano innovativi nel contenuto o dirompenti nella forma – un inizio, uno svolgimento e una fine. L'opera d'arte è un oggetto levigato, rifinito, che si erge completo e inviolabile nel mondo.
È per questo che ci soddisfa, è per questo che ci riempie – sia pur soltanto nei giorni in cui siamo più ricettivi, e solo per un breve momento – di quel senso di quiete e beatitudine che non troviamo mai altrove, neppure, come ai vecchi tempi, nella religione.
— John Banville, Premio Georg von Rezzori
lectio magistralis, 17 Maggio 2008
Hammerbrook - City can this really be true?
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