Fatti questa domanda: sono un grafomane o uno scrittore?

Oggi troppi romanzi sono confessioni o autobiografie travestite. Io sento il bisogno di prendere le distanze da una simile concezione del romanzo. Mi dicono continuamente: “A lei è capitato questo o quel fatto… Ma no, rispondo, ma no! Ma sì invece, insistono, dev’esserle capitato per forza, perché lo ha scritto nel suo romanzo…”

All’inizio vedevo in questi commenti irritanti una grande ingenuità, ma col passar del tempo mi sono reso conto che si trattava piuttosto di un modo molto contemporaneo e alla moda di leggere, di comprendere, e anche di scrivere romanzi. L’autobiografismo invade i romanzi e tutti vogliono scrivere. La grande passione dei nostri tempi è parlare di sé, di esprimersi. 

Si esalta questa passione per la grafomania mentre, secondo me, siamo di fronte alla manifestazione più grottesca, più ridicola della volontà di potenza contemporanea: l'imposizione del proprio io agli altri. Ciò non ha niente a che vedere con il romanzo. Certo, tutto ciò che scrivete è collegato alla vostra vita. Il romanzo nasce dalle vostre passioni personali ma può sollevarsi davvero solo quando avete tagliato il cordone ombelicale con la vostra vita e cominciate a interrogare non più la vostra vita ma la vita stessa.

Uno scrittore che scrive sulla gelosia deve comprenderla come un problema esistenziale e non come un problema personale, anche se vive nella gelosia. Per scrivere, ho bisogno di immaginare situazioni che non ho vissuto e di fare appello a personaggi che sono come tanti io sperimentali. Ecco perché un romanzo, anche quando non è per nulla autobiografico è sempre estremamente personale: voi vedete nei vostri personaggi delle possibilità, esseri che avreste potuto essere o che potreste diventare.

Vale tanto per i personaggi femminili che per quelli maschili ma non ha niente a che vedere con l'autobiografia.

— Milan Kundera, intervista, Lire n° 101, Febbraio 1984

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