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Dove abitano i poeti?
Per vivere [...] al fianco di John Keats è necessario che mi liberi dalla tentazione storica, dal desiderio di trovargli una collocazione, quando il marchio distintivo del poeta è che non abita mai in una casa, bensì in un albergo, dove nessuno mai trova una residenza veramente fissa. Sistemarsi è un modo di accettare la contingenza, e Keats voleva solo accettare la sua visione, che entra nell'ordine dei beni mobili.
Viveva come tutti, ma scegliendo altre cose, soffermandosi dove gli altri tiravano dritto e fuggendo dalle attrazioni irresistibili. Sarà colui che inciampa nel gradino su cui tutti mettono un piede correttamente, nel caso in cui il gradino non abbia senso per lui; se giungesse ad averlo, vi metterà sopra il piede e lo salirà in quanto gradino (mi ricordo, in "Carmen" di Charlie Chaplin, della pietra in terra nella quale incespicavano tutti; si aveva come il sospetto che la pietra non ci fosse, che la gente incespicasse nel proprio incespicare.)
Il timore dell'anacronismo fa sì che i biografi si trasportino in pieno al tempo della loro cavia, dimenticando, a volte, che il poeta è ucronico, non perché la sua opera "sopravvive", bensì perché egli possiede un proprio tempo, estraneo a quello del calendario, che lo dispensa dal divenire.
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