Ricorda che molti scrivono e pochi leggono.
Non c’è forse, dopo l’Italia, un altro Paese al mondo dove ciascun abitante abbia come massima ambizione lo scrivere, e ce n’è pochi altri dove quel che ciascuno scrive – pura smania di dilettante o regolarissima professione – scivoli, per così dire, sull’attenzione dell’altro, come la pioggia su un vetro.
Ma scivola è un’espressione indulgente: inquieta, offende, avvilisce, si vorrebbe dire. Ogni abitante-scrittore se ne sta sul suo manoscritto come il bambino, a tavola, col mento nella sua scodella, sogguardando la scodella, cioè il manoscritto, dell’altro: e se quello è più colmo, sono occhiatacce, lacrime... si sente parlare del tale, del tal altro che ha pubblicato o sta per pubblicare un nuovo libro. Subito, chi ha questa italianissima passione dello scrivere, o dello scrivere ha fatto il suo mestiere, si precipita a vedere di che si tratta, e in che cosa il rivale si mostri inferiore a quel che se ne dice, o si temi.
Se il sospetto, la paura, si rivelano infondati, è un sollievo tinteggiato di nobile comprensione: «Un buon libro... Hai letto l’ultimo libro di T.? Certo potrebbe far meglio... L’ho sfogliato appena – e me ne dispiace – ma non ho mai il tempo di leggere...».
Ed è vero: perché se appena alle prime pagine il rivale appare quel che si desidera – un mediocre – cessato l’allarme, la sua modesta fatica non interessa più.
Quando già alle prime pagine, invece, lo scrittore-lettore si rende conto di trovarsi di fronte a un’autentica novità e forza, il colpo che ne riceve è così brusco che, lì per lì, non riesce a fiatare, e se ne sta zitto e disfatto nel suo angolo.
— Anna Maria Ortese, estratto da "Il piacere di scrivere" in Da Moby Dick all'Orsa Bianca, 2011
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