Scrivere alla maniera di
È un vero peccato che nella scuola italiana la parodia (il pastiche) non faccia parte dei normali strumenti di insegnamento.
In Francia è un esercizio obbligatorio, al pari del tema, del riassunto o della dissertazione; e Proust, tanto per fare un nome, continuò a praticarlo con gusto e profitto dopo essere uscito dai banchi. Mentre da noi, anche negli anni delle sfrenate dissacrazioni e dei rivoluzionari esperimenti, non venne in mente a nessuno di introdurre "l'ora di parodia".
In parte, forse, per una malintesa forma di rispetto, come se scrivere due paginette "alla maniera" di Verga o D'Annunzio equivalesse a uno sberleffo, a uno sgorbio volgare sul loro sacro monumento.
In parte deve poi entrarci quel rovinoso atteggiamento che gl'Italiani hanno sempre avuto verso la cultura (ma anche verso la politica, l'economia, il sindacalismo, ecc.) che gli fa apparire "serio" soltanto ciò che è altisonante, impettito, astruso, per cui, conversamente, ogni approccio di sapore pragmatico gli sembra ignobile e superficiale.
Ma sospettiamo inoltre che sia la difficoltà della cosa in sé a trattenere gl'insegnanti; i quali trovano evidentemente più facile discettare astrattamente di stili, strutture, moduli semantici (e far poi mandare a memoria queste loro elevate considerazioni) che non scendere nel vivo del problema.
Per parodiare un autore bisogna infatti conoscerlo bene, averlo capito e fatto capire in fondo.
E qui sta appunto la grande utilità didattica della parodia, che misura meglio di qualsiasi esame il grado di familiarità che l'alunno ha con un dato testo, e che al tempo stesso sdrammatizza quel testo, lo porta a un livello meno ostico, remoto, minaccioso, noioso, lo rende affettuosamente frequentabile anche per il futuro.
— Fruttero & Lucentini
Hammerbrook - City can this really be true?