L'involuzione della "creatività"

La parola "creatività" ha avuto un declino particolarmente lungo. Il critico marxista Raymond Williams ne traccia l'involuzione nel suo dizionario della cultura moderna, "Nuove parole chiave".

Williams racconta che la "creazione" nasce come prerogativa degli dei (come nella massima di Agostino "creatura non potest creare": la creatura creata non può a sua volta creare), e da quella vetta decade, nel XVI secolo, a sinonimo di "falso" o "imitazione". "O sei soltanto" chiede Macbeth, "un pugnale della mente, /Una creazione falsa che nasce dal cervello/Oppresso dalla febbre?". Per gli elisabettiani, tutto ciò che era creato dalla mente degli uomini risultava in un certo senso secondario, sospetto. Una leggera macchia di vergogna che durò a lungo, arrivando a sfiorare perfino i romantici.

Ai giorni nostri, sostiene Williams, usiamo la parola "creatività" per nascondere a noi stessi il fatto che le arti non sono dominate da innovazione e originalità, bensì dalla "riproduzione ideologica ed egemonica". In altri termini: ci piace pensare che le "arti creative" rappresentino una forma di ribellione contro l'andamento delle cose, mentre il più delle volte non fanno altro che rafforzare lo status quo.

La parte più dolorosa arriva alla fine: "La difficoltà sorge quando una parola che un tempo era destinata, e spesso lo è tuttora, a rappresentare un concetto serio ed elevato, diventa convenzionale. [...] Di conseguenza qualunque opera letteraria fasulla o stereotipata può essere chiamata, per convenzione, scrittura creativa, e gli autori di testi pubblicitari possono descriversi ufficialmente come creativi."

— Zadie Smith, Testo scritto per Letterature 2013
Estratto pubblicato su La Stampa, 1/7/2013

Hammerbrook - City can this really be true?

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