Il narratore in terza persona, questo fantasma

Non sono solo interessato ai risultati della scrittura, ma anche al processo, l'atto di mettere le parole sulla pagina. Non so perché. Magari ha a che fare con una mia confusione iniziale, una scarsa conoscenza della natura della finzione. Da ragazzo mi chiedevo sempre: Da dove vengono le parole? Chi sta parlando ora? La voce del narratore in terza persona nel romanzo tradizionale è un accorgimento strano. Ormai ci siamo abituati, lo accettiamo, non lo mettiamo più in discussione. Ma se ci pensi, in questa voce c'è qualcosa di irreale, di fantasmatico. Sembra arrivare dal nulla, e la cosa mi inquieta.

Sono sempre stato attratto dai libri che si ripiegano su se stessi, che ti portano dentro il mondo del libro, anche quando il libro ti sta portando dentro il mondo. Il manoscritto come eroe, per così dire. "Cime tempestose" è un libro così. "La lettera scarlatta" è un altro. Le cornici sono fittizie, è chiaro, ma offrono alle storie una sorta di radicamento, di credibilità, cosa che per me gli altri romanzi non fanno.

Questi libri presentano il lavoro come un'illusione – a differenza delle forme più tradizionali di narrativa – e una volta che accetti la "irrealtà" dell'operazione, paradossalmente aumenta la verità della storia. Le parole non sono scritte nella pietra da un invisibile autore divino. Invece rappresentano lo sforzo di un essere umano in carne e ossa e questa è una cosa molto potente. Il lettore diventa una presenza attiva nello svolgimento della storia — non è più un osservatore distante.

— Paul Auster, The Paris Review n.167, ottobre 2003

Hammerbrook - City can this really be true?

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