Vuoi padroneggiare un genere letterario? Studia filosofia.

Il linguaggio [...] può dire il mondo, ma non il suo rapporto col mondo. La relazione fra l’uomo e il mondo, è, cioè, mediata dal linguaggio, ma in modo tale, che proprio quella relazione resta non dicibile né detta. Di qui il senso e la necessità dei generi letterari: essi esprimono, ciascuno a suo modo, l’impossibilità del linguaggio di venire a capo del suo rapporto col mondo.

I generi letterari sono, cioè, il sigillo che l’esperienza dei propri limiti segna sul linguaggio: tragicamente (il pianto sull’impossibilità di dire), comicamente (l’impossibilità di dire come riso), elegiacamente (il lamento sulla parola), innicamente (la celebrazione del nome), liricamente (il canto: io non posso dire ciò che, parlando, vorrei dire), epicamente (la memoria delle azioni che si perdono al di là del pianto e del riso).

Per questo la filosofia, che vuole venire a capo dei limiti del linguaggio, non può non confrontarsi con i generi letterari che ne segnano la soglia. Essa è la “musica suprema” (Phaed., 61a) e quasi “la musa stessa” (Resp., VI, 499 d), il genere dei generi che viene a capo della loro irriducibile partizione.
 
E per questo il Simposio si chiude con l’immagine di Socrate che, seduto tra Agatone e Aristofane, suggerisce a entrambi che la stessa persona deve saper comporre commedie e tragedie e che chi è poeta tragico è, per arte, anche comico.

— Giorgio Agamben, "Al di là dei generi letterari", 2014 (Prefazione di Enzo Melandri, I generi letterari e la loro origine, 1980)

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